Mitigare lo stress migratorio promuovendo la resilienza nei ragazzi migranti non accompagnati per un adattamento ottimale
MATTHEW OLUSOLA AKINYEMI
L’immigrazione in Italia
In Italia (così come in molte democrazie occidentali1) la migrazione è diventata una fonte importante di malcontento politico e sociale.
Il collasso dell’Europa dell’Est ha contribuito ad un aumento della migrazione intra-europea a causa delle limitate opportunità economiche e dell’instabilità sociale di quei Paesi2, e questo ha anche portato ad un continuo aumento della migrazione esterna verso l’Europa, in particolare per la carenza di lavoro e l’aumento dell’età delle popolazioni dell’Europa occidentale3.
Negli anni recenti, in Italia, il problema (o il fenomeno) dell’incontro inter-culturale ha assunto molta rilevanza, come si può evincere da giornali, libri e riviste, ma soprattutto dalle esperienze quotidiane nei confronti dell’immigrazione. Il fenomeno implica lo spostamento di un individuo o di un gruppo da una zona geografica all’altra, e costituisce un argomento di interesse generale, in particolare per gli amministratori, i demogra! e gli scienziati sociali4.
All’interno della popolazione di immigrati in Italia si può distinguere la prima generazione, costituita da adulti che, pur mutando alcuni aspetti esteriori (vestiti, cibo, abitazioni e relazioni, ecc.), continuano a nutrire sentimenti di appartenenza verso la cultura di origine; tali sentimenti si manifestano, per esempio, nel mantenimento delle abitudini religiose, della lingua, delle concezioni della vita, della morte, della famiglia, delle norme che regolano i rapporti tra generazioni e tra sessi.
Al contrario, la seconda generazione – formata da minori nati nel Paese di accoglienza o da quelli arrivati ancora piccoli dalla terra natia – non possiede riferimenti così chiari e ben radicati nella cultura di origine dei genitori, poiché costruisce la propria identità secondo valori e modelli appartenenti ad una pluralità di culture5.
Minori non accompagnati
I fenomeni migratori interessano da sempre anche i minori, ossia bambini e adolescenti che attraversano da soli, senza la presenza dei genitori o di tutori, con!ni nazionali e contesti sociali per raggiungere Paesi diversi da quello di origine e, spesso, del tutto sconosciuti6. A partire dagli anni ’90, l’Italia ha rappresentato un approdo per molti di questi minori, provenienti inizialmente dall’Albania, dal Marocco e dalla Romania. Con il passare del tempo il fenomeno si è ulteriormente esteso con migrazioni provenienti da vari Paesi dell’Africa (Nigeria, Ghana, Senegal, DR Congo, Sud Sudan, Gambia, Somalia ecc.), dell’Asia (soprattutto Bangladesh, Pakistan e Afghanistan) e del Sud America7. Molti di questi minori sono spinti a raggiungere altri luoghi in quanto attratti dal benessere, da motivazioni economiche, dalla possibilità di migliorare le proprie prospettive di vita; altri, invece, semplicemente cercano rifugio da situazioni di con”itto e di guerra o, in alternativa, mirano a ricongiungersi con genitori o altri parenti.
In Italia, dunque, i minori immigrati non accompagnati rappresentano una presenza numerosa e signi!cativa verso la quale è necessario prestare attenzione, proponendo interventi, programmi e
politiche volti all’inclusione e all’integrazione che sappiano, al tempo stesso, tutelare il benessere psico-!sico di questi bambini e adolescenti8.
Sviluppare percorsi di crescita sani per queste popolazioni dovrebbe costituire una priorità per tutti i Paesi civili, nella speranza che situazioni di disagio si trasformino presto in opportunità anche
per le comunità ospitanti.
A tal proposito, al !ne di proporre proposte progettuali concrete ed ef!caci, risulta importante altresì considerare le necessità e i bisogni di questi minori, provvedendo anche a differenziare tutte le situazioni che si prospettano, considerando quindi le motivazioni alla partenza, i percorsi di arrivo, le modalità di inserimento e i processi di integrazione nella società italiana. Allo stesso modo, è doveroso considerare le caratteristiche del contesto in cui sarà effettuato l’inserimento, le peculiarità delle comunità ospitanti, l’insieme di attori in gioco (comprese le amministrazioni locali, i servizi sociali e assistenziali), le strutture educative deputate a sostenere l’accoglienza e l’inserimento di questi minori, nonché la transizione alla loro maggiore età9.
Per quanto concerne le caratteristiche dei minori migranti, si evidenzia che: l’area di provenienza si diversi!ca a livello locale (a causa delle reti e delle catene migratorie); l’età all’arrivo è tra i quattordici e i diciassette anni; il sesso dei soggetti è prevalentemente maschile; lo scopo dell’arrivo in Italia può essere quello di rimanervi o di transitarvi per recarsi altrove10. Le esperienze condotte negli ultimi trent’anni nel fornire supporto e strumenti per l’integrazione ai minori non accompagnati hanno sicuramente dato un contributo signi!cativo nel favorire il benessere di queste persone. I fattori principali su cui si è fatto leva per raggiungere tali risultati sono stati principalmente: il lavoro effettuato per promuovere la resilienza; il contatto con le comunità locali; la scelta di un approccio globale al benessere del minore; l’attenzione ai percorsi di sviluppo nell’età adulta11. Tutto ciò richiede la partecipazione attiva di diversi soggetti: professionisti che operano
nel pubblico e nel privato, servizi sociali ed enti istituzionali. Inoltre, il successo di simili iniziative è stato in parte dovuto al coinvolgimento di persone appartenenti alle comunità ospitanti, che hanno reso possibile, in molti casi, l’adattamento12.
Si ritiene, dunque, che l’approccio corretto al benessere dei minori non accompagnati non possa essere limitato ad interventi standardizzati e speci!ci, ma questi – pur considerando la situazione nel complesso13 – debbano essere tagliati sulle loro necessità e sui diversi aspetti della loro vita. Gli interventi rivolti ai minori, infatti, sarebbero da calibrare «caso per caso»14.
Tutti i percorsi che portano all’integrazione e all’adattamento devono tener conto che il bambino/l’adolescente migrante giunge in un contesto “diverso” essendo portatore di atteggiamenti, modalità d’agire, bisogni e necessità derivanti da esperienze precedenti che risultano in”uenzate da pratiche culturali e religiose, tradizioni e consuetudini
socialmente condivise15. I minori non accompagnati subiscono con maggiore intensità gli effetti dello stress migratorio, e dunque necessitano di ricevere supporto e di sviluppare quei fattori di protezione (primo tra tutti la resilienza) che consentano loro di migliorare la propria qualità di vita e adattarsi alle nuove condizioni. Quindi, la realizzazione di iniziative a sostegno dei minori non accompagnati risulta spesso un’operazione non semplice, poiché vi è la necessità di
affrontare esperienze di estrema vulnerabilità, sia !sica che psichica.
Possibili interventi per promuovere la resilienza Diversi studi hanno evidenziato che alcune dimensioni di resilienza (competenza e tenacia personale, accettazione positiva del cambiamento e di relazioni sicure) sono risultate in grado di mediare la relazione tra stress migratorio e livelli di adattamento. Questo dato evidenzia, come già mostrato da vari autori16, quanto la resilienza costituisca un elemento educativo-protettivo che incide in modo intenso nel promuovere l’adattamento dei migranti: è dunque un fattore di protezione per le condizioni di stress delle fasce migratorie più vulnerabili.
Attivando dei programmi di intervento che possano sostenere e accrescere la capacità di resilienza del soggetto, le competenze personali e l’accettazione del cambiamento, lo stress dovrebbe avere un effetto minore sui livelli di adattamento dei migranti.
Quindi, vorrei proporre delle strategie di intervento che perseguano il fine di promuovere e favorire questi aspetti di resilienza nei migranti, in modo da consentire loro di adattarsi con maggiore facilità al nuovo contesto sociale.
Secondo la de!nizione proposta da Malaguti, la resilienza indica la capacità o il processo di far fronte, resistere, integrare e costruire e riuscire ad organizzare positivamente la propria vita nonostante l’aver vissuto situazioni dif!cili che facevano pensare ad un esito negativo17.
Molti autori concordano nel considerare la resilienza come una costruzione, un processo che porta ad una crescita interiore18. Più in particolare, la resilienza si riferisce ad un processo dinamico che comprende l’adattamento positivo all’interno di un contesto significativamente avverso19. Essa, ancora, viene ritenuta un processo che si fonda sull’interscambio continuo tra individuo e ambiente circostante20.
Ad esempio, Zani e Cicognani21 de!niscono la resilienza come la capacità del soggetto di mantenere un discreto livello di adattamento anche in condizioni di vita particolarmente sfavorevoli (la capacità di essere “essibili e di resistere agli urti). In altre parole, viene ribadito come l’interazione tra individuo e contesto sia l’elemento cruciale per raggiungere questi due !ni22.
Nello speci!co, i costrutti che possono essere evocati nell’ambito della resilienza sono quelli di empowerment e coping. Secondo Piccardo23, l’empowerment può essere de!nito come un processo in grado di rafforzare nell’individuo la propria capacità di scelta, l’autodeterminazione e l’autoregolazione. Il concetto di empowerment – nel suo signi!cato globale – include la resilienza, intesa come un processo di potenziamento e accrescimento delle proprie risorse, di ampliamento delle competenze sociali e relazionali, di integrazione sociale di un individuo stressato o che ha subito un trauma.
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